Il condominio diventa specchio della società nazionale, esplorando le problematiche dell’alienazione contemporanea e dell’incerta esperienza del reale
Chiunque abbia partecipato a una riunione condominiale non ha bisogno di leggere Ballard e in particolare Il condominio (1975) per rendersi conto che condividere spazi, pareti e tubature di un edificio può scatenare nell’inquilino contemporaneo i peggiori istinti.
Lo sa bene l’avvocato napoletano Umberto Montella, che nel film di Vincenzo Marra L’ amministratore è alle prese con un microcosmo tragicomicamente rappresentativo, fatto di clienti schierati a difesa dei propri metri quadri o all’attacco di quelli dei vicini. Il documentario è uscito nella collana Popolidoc promossa dal Festival dei popoli di Firenze.
Da mymovies.it
Non è facile la vita di un amministratore tra preventivi e consuntivi, ostilità e paranoia, convivenze e attriti di palazzo. Non è facile amministrare un’umanità varia pronta a ‘vendere’ il vicino per tornaconto o anche solo per noia. Eppure Umberto Montella, avvocato e amministratore di condomini a Napoli, pratica il ruolo con disinvoltura, frequentando con coscienza e cognizione le geometrie dell’architettura condominiale. Dietro la scrivania e dentro gli alloggi dei suoi singolari amministrati, lamentosi e rassegnati di fronte alle spese ordinarie e a quelle straordinarie, l’avvocato Montella passa in rassegna appartamenti e inquilini, biasimando e decantando, gratificando e negoziando, ragionando e sofisticando. Con la stessa scrupolosità lo pedina invisibile lo sguardo di Vincenzo Marra, che elabora il reale e sfrutta appieno il potenziale narrativo dei palazzi di Montella, ‘costruendo’ dei personaggi che il cinema di finzione non si sogna neppure.
L’amministratore assume il condominio a specchio dell’attuale società nazionale, esplorando le problematiche dell’alienazione contemporanea e dell’incerta esperienza del reale. Dopo aver abitato col suo cinema le piazze (La piazza), i tribunali (L’udienza è aperta), i penitenziari (Il gemello), i paesaggi da riqualificare (Il grande progetto), il regista napoletano infila questa volta la porta di casa e osserva, come Balzac (“Papà Goriot”) o Zola (“Quel che bolle in pentola”), come Polanski (Carnage) o Ozon (Nella casa), il microcosmo sociale in tutte le sue sordide o generose declinazioni. Muovendosi tra due estremi, dalle ville di Posillipo alla periferia di San Giovanni a Teduccio, Montella intrattiene e si intrattiene nei salotti o sull’uscio, davanti a un caffè e dietro agli occhiali, ‘raccontandoci’ con sottile ironia la convivenza coatta dove si intrecciano disprezzo e passione. Moltiplicando e parcellizzando i punti di vista, L’amministratore dice della miseria parsimoniosa e dell’indolenza di una pensionata, dell’oblio progressivo di sentimenti integri e della decadenza fatale di una famiglia borghese, dell’umiltà e del senso di appartenenza di una coppia ottuagenaria, della frustrazione e della meschinità applicata di una vicina di casa, della scarsa conoscenza e coscienza pubblica del nostro Paese. Tra cambiali in disuso e muri umidi, tra mare chiaro e vicoli scuri, il documentario di Marra testimonia una complessità antropologica, ‘governata’ da un amministratorecortese che cerca soluzioni per stabilire pratiche di coesistenza e di partecipazione. Maturata un’educazione ‘teatrale’ fuori e dentro un ambiente esuberante come quello partenopeo, Umberto Montella ha presenza scenica e uno stile recitativo in grado di attirare l’attenzione sul funzionamento del film e sulla sua scrittura. Attore al servizio di Marra, fornisce certamente la sua opinione sulla costruzione dell’amministratore, lavorando naturalmente su precise connotazioni geo-antropologiche, cesellate nella lingua e nella corporalità. Come un attore professionista si appropria dello spazio (condominiale), offrendo allo spettatore l’esatta misurazione. Perché l’amministrat(t)ore è corpo di ‘orientamento’, corpo della città che rappresenta e in cui si rappresenta.
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