Materiali edili: il PCM ( Phase Changing Material ). Il recepimento in Italia della direttiva europea 2002/91/Ce “Energy performance of buildings”, attuato con il dlgs 192/2005, ha fatto sì che anche nel nostro paese crescesse l’interesse per le tematiche relative al contenimento energetico degli edifici.
Materiali edili: il PCM
Il decreto non si occupa con attenzione del fabbisogno di climatizzazione estivo, ma dà un’unica indicazione relativamente all’elevata inerzia termica da assegnare agli involucri in modo da aumentare lo sfasamento temporale nella trasmissione del calore.
Un’interessante innovazione nella regolazione dell’inerzia termica per migliorare la condizione estiva degli involucri è rappresentata dall’utilizzo dei PCM ( Phase Changing Material ).
I Pcm, a differenza dei normali materiali edili, sono in grado di assorbire elevate quantità di energia termica e di restituirla all’esterno con uno sfasamento temporale, senza aumentare la propria temperatura. Questa caratteristica è insita nei Pcm grazie alla loro capacità di cambiamento di fase.
In genere, raggiunta la temperatura di fusione, un materiale per passare da uno stato all’altro necessita di accumulare l’energia termica necessaria per rompere i legami chimici.
Quando la temperatura scende sotto il punto di fusione il pcm risolidifica, cedendo all’ambiente esterno l’energia termica accumulata (rilascio).
Ciò comporta che, a contatto con un ambiente soggetto a significative variazioni di temperatura il PCM funge da termoregolante, mantenendo la temperatura entro un campo ottimale prefissato coincidente con il suo punto di fusione. A differenza dei materiali lapidei, dove la massa assume un ruolo determinante nel funzionamento del sistema, nei PCM l’inerzia termica è indipendente dallo spessore e permette, quindi, il raggiungimento di buoni livelli di conservazione termica con un impiego minimo di massa.
Materiali edili: i PCM in edilizia
I Pcm, inizialmente sviluppati dalla Nasa per realizzare le tute degli astronauti e isolare alcuni strumenti elettronici esposti a condizioni ambientali estreme, con elevate e frequenti variazioni di temperatura, da alcuni anni stanno trovando applicazione anche nell’edilizia.
Tra le sostanze presenti in natura, in grado di cambiare di fase al modificarsi delle condizioni termiche esterne, sono state selezionate quelle che rispondevano a una serie di requisiti: temperatura di fusione simile a quella di benessere interno di un edificio, inerzia termica, entalpia, stabilità nella variazione di stato e nel tempo, temperatura di congelamento, aspetti ecologici, tossicità, prezzo e reperibilità. I materiali meglio rispondenti a questi parametri sono risultati la cera di paraffina e una serie di soluzioni saline.
La cera di paraffina è stata inserita in microcapsule di diametro 2-20 μm all’interno di polimetilmetacrilato, una sostanza trasparente dall’elevata resistenza in grado di essere lavorata con spessori ridottissimi.
Ottimi Risultati si sono ottenuti sviluppando pannelli in cartongesso o in legno, intonaci, sistemi di facciata vetrati o in plexiglas, isolanti termici, collettori solari e scambiatori di calore.
In pratica, al fine di limitare l’aumento della temperatura degli ambienti interni nella stagione estiva, non è sufficiente schermare i raggi solari, ma è necessario che il corpo schermante non si surriscaldi. Questo si ottiene in genere aumentando gli spessori e più in generale l’inerzia degli involucri.
Con i PCM si ottiene lo stesso risultato con spessori enormemente ridotti, con importanti recuperi volumetrici.
Materiali edili: alcuni difetti dei PCM
I principali problemi sono costituiti dalla scelta della temperatura di fusione ottimale del PCM, in grado cioè di garantire il benessere interno in uno spazio abitabile. La paraffina inoltre è un materiale molto infiammabile, che può essere utilizzato solo in una quantità ridotta (circa il 20% del volume).
I PCM hanno poi il limite di non riuscire a “scaricarsi” termicamente nei periodi particolarmente caldi protratti nel tempo; sono in grado esclusivamente di accumulare e rilasciare energia termica e non di eliminarla o di assorbirla. Pertanto, soprattutto nei climi molto caldi, è necessario combinare l’uso dei Pcm con un sistema per il raffrescamento notturno o, in alternativa, con uno scambiatore di calore per il recupero dell’energia termica in eccesso (con evidente dispendio dal punto di vista impiantistico ).
Altro inconveniente è l’elevato costo, che può però ammortizzarsi con un risparmio per l’energia per il raffreddamento estivo e con i guadagni dovuti al guadagno volumetrico dell’abitato. Occorre però fare attente valutazioni economiche e progettuali prima di programmare l’utilizzo dei PCM alle nostre latitudini.
Lascia un commento