Il Governo è stato battuto durante le votazioni sugli emendamenti al decreto legge sull’Imu. Imu, possibilità di esenzione delle case date in uso ai figli
Imu, possibilità di esenzione delle case date in uso ai figli. Nonostante il parere contrario del sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, l’Aula ha approvato un emendamento delle Commissioni. Risultato? Ora i Comuni potranno esentare dal pagamento della seconda rata dell’Imu le case date in comodato gratuito dai proprietari ai figli.
Ma attenzione, perché stando a quanto previsto, tale agevolazione può essere data su una sola casa. L’emendamento determina anche che «ciascun Comune definisce i criteri e le modalità per l’applicazione dell’agevolazione» compreso «il limite dell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee)».
Il costo previsto per coprire le mancate entrate è di 18,5 milioni di euro, coperti con una «corrispondente riduzione lineare delle dotazioni finanziarie disponibili» dei ministeri.
«L’approvazione di questo emendamento è una giusta risposta all’esigenza manifestata da migliaia di famiglie italiane che spero renda meno sbagliata l’Imu», dice Angelo Rughetti, deputato Pd vicino.
E ancora, un altro emendamento approvato dei relatori fissa al 9 dicembre il termine per i Comuni per pubblicare le nuove aliquote dell’imposta municipale propria o varranno quelle del 2012.
Imu, possibilità di esenzione delle case date in uso ai figli – di Elisabetta Paladini
Luigi dice
Commento con risposta sottoposto al noto tributarista Alberto De Franceschi
Nell’art.2bis sopra riportato della legge di conversione del DL n.102 del 30.8.2013 si dà facoltà ai Comuni di considerare abitazione principale quella data in comodato,stabilendo il limite ISEE.Ma non Le sembra Rag. De franceschi che ciò sia illegittimo considerando che l’IMU ha carattere patrimoniale e quindi colpisce il patrimonio non il reddito?
Infatti è chiaro che l’Imu non ha per oggetto il «possesso» di redditi, ma il «possesso» dei beni immobili, senza riguardo al fatto che essi effettivamente producano, o meno, un reddito: si tratta quindi di un’imposta che, prescindendo completamente dal vantaggio che da un bene immobile può derivare al suo “possessore” (sia in termini di utilizzo diretto che in termini di concessione in godimento a terzi a titolo oneroso) è qualificabile, come la previgente Ici, come imposta “reale” o come “imposta patrimoniale»; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924, in il fisco, 2008, 7390; in Corr. Trib., 2008, 3624; in Immobili & dir., 2009, 1, 54; in Riv. giur. edilizia, 2008, I, 1501; in Riv. trib. loc., 2009, 54; in Tributi loc. e reg., 2009, 80; e in Boll. trib., 2009, 569, secondo cui «l’imposta comunale sugli immobili ha natura reale ed il relativo presupposto è integrato dal possesso dei beni immobili così come individuati dall’art. 2 d. lgs. n. 504/1992; non rileva la capacità di produrre reddito né, se non nei limiti della riduzione del prelievo, l’eventuale inagibilità o inabitabilità dell’unità immobiliare; ne consegue che l’iscrizione in Catasto del fabbricato, ancorché in corso di costruzione, determina la realizzazione del presupposto impositivo
indipendentemente dalla circostanza relativa all’ultimazione dei lavori o all’utilizzazione».
Risposta
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Alberto
2 novembre 2013
10:16
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Non solo condivido pienamente ma confermo l’assurdità della posizione presa. Luigi ti ringrazio anche per l’attenta esposizione dei riferimenti normativi che ho evitato nel trafiletto solo per rendere chiaro ai più la questione.
Risposta