Con la circolare n.36/e del 19 dicembre 2013, l’Agenzia delle Entrate ha ridefinito il trattamento riservato agli impianti fotovoltaici per inquadrarli correttamente sul piano fiscale e catastale. Ciò ha fatto sorgere alcune perplessità tra impiantisti e consumatori. Con l’aiuto di Luigi Monteduro, CEO di Cotec Srl, scopriamo cosa cambia per chiarire la questione.
Con la circolare n.36/E l’AdE chiarisce la questione della qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici e alle conseguenze che ne derivano in materia catastale e tributaria.
La circolare (vedi documento) chiarisce quando un impianto fotovoltaico deve essere considerato bene immobile da accatastare e come calcolare la rendita. È bastato questo per suscitare allarme tra gli operatori del settore e consumatori.
Gli operatori del settore ne ricavano, dal documento, preoccupazioni circa l’impatto negativo che lo stesso potrebbe avere circa la convenienza stessa della fonte rinnovabile e quindi sul loro lavoro; i consumatori temono invece che la circolare possa portare ad un aumento della la rendita catastale dell’edificio, con relativo aggravio di Imu, Tasi e altre imposte che hanno come base quel valore.
Se tali preoccupazioni siano fondate o meno, lo abbiamo chiesto a Luigi Monteduro, CEO di COTEC, azienda specializzata nel settore.
Ci può chiarire quali sono in sintesi i contenuti della circolare dell’Agenzia delle Entrate N.36/E?
In passato sono stati emanati dagli organi competenti documenti di prassi per chiarire come rilevano ai fini delle imposte dirette e dell’IVA gli incentivi erogati ai titolari di impianti di energia da fonti rinnovabili, e come sono inquadrati in ambito catastale gli impianti fotovoltaici.
Se ne è ricavato una disciplina poco chiara e frastagliata tale da alimentare ulteriori richieste di chiarimenti sull’argomento con particolare attenzione alla questione della qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici e alle conseguenze che ne derivano in materia catastale e tributaria.
L’Agenzia del Territorio, oggi incorporata nell’Agenzia Entrate, ha sempre ritenuto che gli impianti fotovoltaici sono beni immobili in quanto amovibili.
L’Agenzia delle Entrate, invece, fino alla circolare in questione, ha sempre sostenuto che gli stessi impianti, che ai fini catastali sono immobili, ai fini della fiscalità dovevano essere considerati beni mobili.
Oggi invece, gli impianti fotovoltaici, salvo alcune eccezioni, sono sempre considerati immobili, sia ai fini catastali che a quelli fiscali.
Questo cambiamento avrà delle conseguenze pratiche?
Il risvolto pratico di questo cambiamento determina che un’impresa proprietaria di un impianto fotovoltaico, che prima della circolare deduceva dal suo reddito d’impresa l’aliquota d’ammortamento prevista per i beni mobili, ossia una quota pari al 9% dei costi dell’impianto, oggi ammortizza l’impianto con l’aliquota prevista per i beni immobili, cioè il 4%. Ma il periodo di ammortamento più lungo, perché si passa da 11 a 25 anni.
Il fatto di aver dedotto una percentuale più alta determina degli obblighi di restituzione?
No. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i contribuenti che fino a questo momento hanno dedotto la percentuale più alta non saranno tenuti a nessuna restituzione, dato che hanno agito seguendo le istruzioni della stessa Agenzia.
Siamo di fronte a un risvolto peggiorativo delle condizioni sulle quali le aziende si determinarono alla realizzazione dell’impianto fotovoltaico?
Il costo dedotto è lo stesso ma cambiano i tempi. Con il vecchio regime si poteva abbattere il carico fiscale in maniera più consistente, ma per un minor numero di anni.
Come e quanto aumenta la rendita catastale?
Il calcolo della variazione del valore catastale non è banale e si effettua in base ad una prassi estimativa adottata dall’Amministrazione catastale su istruzioni dell’Agenzia del Territorio del 2005. Il calcolo – che deve tenere conto di tutte le componenti del sistema, comprese anche quelle contenute all’interno dei locali tecnici come inverter, quadri elettrici, sistemi di allarme, etc. – non è dunque semplice: per avere una valutazione accurata dell’aumento del valore catastale è utile rivolgersi a un professionista abilitato che valuti se è necessario aggiornare la rendita.
Il fatto di dover tener conto di tutte le componenti del sistema, comprese anche quelle contenute all’interno dei locali tecnici come inverter, quadri elettrici, sistemi di allarme, etc determinerà, come alcuni sostengono, il raddoppio della rendita catastale rispetto al metodo di calcolo precedente?
In parte sì. Dato che si considerano tutte le apparecchiature la rendita catastale sale di molto. Di conseguenza crescono anche le imposte connesse alla rendita catastale stessa, come Imu, Tasi e altre imposte che hanno come base quel valore.
Cosa succede invece per gli impianti fotovoltaici su tetto, quelli di modesta entità realizzati dai privati?
Gli impianti di tipo industriale di grandi dimensioni, che hanno autonomia funzionale, vanno accatastati come unità immobiliari e in particolare come opifici, in categoria D1.
La circolare sostiene che gli impianti di produzione di energia di modesta entità, come quelli destinati prevalentemente ai consumi domestici, non hanno rilevanza catastale, ma negli anni passati molti utenti hanno scelto di installare sistemi fotovoltaici di potenza superiore ai 3 kW (soglia in genere già sufficiente per rispondere alle esigenze energetiche di una famiglia) per godere dei generosi incentivi disponibili in passato grazie al Conto Energia.
La variazione catastale, stando alla circolare dell’Agenzia, è obbligatoria solamente quando il valore dell’impianto supera il 15% della rendita catastale dell’immobile. Una valutazione non sempre immediata, che per la maggior parte dei contribuenti può risultare semplicemente impossibile. Per fare una stima corretta bisogna rivolgersi a un professionista abilitato, come un geometra. Solo questa consulenza professionale permetterà di stabilire, caso per caso, l’eventuale necessità di aggiornare la rendita.
Il professionista calcolerà la variazione del valore in base ad una prassi estimativa adottata dall’amministrazione catastale su istruzioni diramate dall’Agenzia del Territorio nel 2005. In linea generale comunque possiamo dire che un impianto installato su un edificio che ospita un attività produttiva o su un’abitazione molto difficilmente supera il 15% del valore catastale dell’immobile: su questi impianti dunque non si paga l’Imu, non fanno aumentare la rendita dell’immobile e non si devono nemmeno dichiarare.
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